giovedì 29 aprile 2010

Società in Transizione

Cari amici, Cari lettori,
voglio prendere spunto dall'ennesimo disastro ambientale di questi giorni che ha colpito le acque del Golfo del Messico  a causa dell'inabissamento di una piattaforma petrolifera, per parlarvi di un movimento che rappresenta a mio avviso una delle risposte più promettenti e lungimiranti alle due sfide più dure per il nostro pianeta: il cambiamento climatico e il picco del petrolio. Ma mentre il primo è ben documentato ed ha una grande visibilità sui media, il secondo invece rimane fuori dalla conoscenza della maggior parte della popolazione. Tuttavia il Picco del petrolio, un processo geologico al quale consegue il declino della disponibilità di combustibili fossili, può inficiare in maniera assai seria quella stabilità economica e sociale che è essenziale se abbiamo intenzione di mitigare la minaccia del Cambiamento climatico.

Potreste non aver mai sentito i mezzi di informazione parlare dei principi su cui si basa la teoria del Picco del petrolio. Non lasciate che ciò vi faccia rilassare in un falso senso di sicurezza. C'è stato un momento nel quale il tema dei Cambiamenti Climatici ha sofferto della stessa mancanza di rilievo mediatico.
Il Picco del petrolio non equivale alla "fine del petrolio", poiché ne resterà sempre una parte nel sottosuolo, ma, o sarà troppo difficile da raggiungere, oppure l'estrazione risulterà eccessivamente dispendiosa in termini di energia da utilizzare a tal fine: ricordate una cosa, nel momento in cui per estrarre un barile di petrolio sarà necessario impiegare un quantitativo di energia pari ad un barile di petrolio, quello è indistintamente il momento in cui nessuna compagnia petrolifera sarà più disposta a estrarre una sola goccia di petrolio.

Inutile allarmismo? A testimonianza di quanto appena detto voglio citare un rapporto preparato per il governo degli Stati Uniti nel 2005 da un'agenzia di esperti nella gestione del rischio e dell’analisi petrolifera (Peaking of World Oil Production: Impacts, Mitigation & Risk Management. Robert L. Hirsch, SAIC) e il recente rapporto del  Pentagono americano, tramite l'American Joint Forces Command.
In entrambi i casi viene documentata la fine del petrolio di approvvigionamento facile ed economico.

Si ma che centra, direte voi, il Movimento di Transizione? Beh, amici miei, casomai non l'aveste capito e aspettavate che fosse perfino il Pentagono a dirvelo, bisogna cominciare a pensare al passaggio (transizione) dall'attuale modello ad una società che trae la sua energia da fonti sostenibili e abbandoni definitivamente il petrolio perché fra un po' sarà lui ad abbandonare noi.

Il movimento Transition Towns parte da questa necessità per prendere spunto per la ricostruzione di tutto il sistema dei rapporti tra gli uomini e tra gli uomini e il pianeta, nel quale il potere viene condiviso da tutti e non subito dall'alto di istituzioni che ingenuamente riteniamo democratiche.

Transition è un movimento culturale nato di recente in Inghilterra dalle intuizioni e dal lavoro di Rob Hopkins.
Tutto avviene quasi per caso nel 2003. In quel periodo Rob insegnava a Kinsale (Irlanda) e con i suoi studenti creò il Kinsale Energy Descent Plan un progetto strategico che indicava come la piccola città avrebbe dovuto riorganizzare la propria esistenza in un mondo in cui il petrolio non fosse stato più economico e largamente disponibile.

Voleva essere un’esercitazione scolastica, ma a Rob Hopkins venne l'intuizione di applicare a questo modello il concetto di resilienza.
Resilienza non è un termine molto conosciuto, esprime una caratteristica tipica dei sistemi naturali. La resilienza è la capacità di un certo sistema, di una certa specie, di una certa organizzazione di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, che provengono dall’esterno senza degenerare, una sorta di flessibilità rispetto alle sollecitazioni.
La società industrializzata è caratterizzata da un bassissimo livello di resilienza, basta chiudere il rubinetto del carburante e la nostra intera civiltà si paralizza.
I progetti di Transizione mirano invece a creare comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali).

Tutto ciò attraverso proposte e progetti incredibilmente pratici, fattivi e basati sul buon senso. Prevedono processi governati dal basso e la costruzione di una rete sociale e solidale molto forte tra gli abitanti delle comunità.
Nascono così le Transition Towns (oramai centinaia), città e comunità che sulla spinta dei propri cittadini decidono di prendere la via della transizione.
Possediamo tutte le tecnologie e le competenze necessarie per costruire in pochi anni un mondo profondamente diverso da quello attuale, più bello e più giusto. La crisi profonda che stiamo attraversando è in realtà una grande opportunità che va colta e valorizzata e credo sinceramente amici che il movimento di Transizione sia lo strumento per farlo.
Tornerò a parlare di questo movimento per approfondire meglio le proposte e i progetti pratici del movimento.

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