giovedì 1 aprile 2010

ENERGIA NUCLEARE IN ITALIA? CERCHIAMO DI VEDERCI CHIARO

In questi giorni è tornata alla ribalta, alla luce anche delle recenti elezioni regionali del 28-29 marzo 2010, la questione del ritorno all’energia nucleare in Italia dopo che con il referendum del novembre del 1987 l'81% dei votanti disse no alle centrali nucleari in Italia. In questo articolo si tenterà di dare una risposta alle domande più frequenti che vengono poste quando si parla di energia nucleare, al fine di fornire qualche chiarimento in più su un tema così importante e facilitare la formazione di un giudizio che prescinda dalle proprie opinioni politiche per rimanere negli indefiniti limiti della tematica ambientale. (clicca sul titolo per continuare)
Il nucleare economico?
Gli studi più recenti in proposito sono stati compiuti dall’Università Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston (http://web.mit.edu/nuclearpower/pdf/nuclearpower-full.pdf), i cui risultati indicano che il costo attuale di un kWh nucleare è di circa 6,7 centesimi di dollaro, contro i 4,2 del carbone e i 3,8 del gas naturale. A risultati analoghi sono arrivati anche gli studi del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti e dalla Chigago University. Sostanzialmente diversi sono gli esiti di una ricerca condotta in Italia dall’Università di Pisa (http://www2.ing.unipi.it/~d0728/GCIR/Costi.pdf ), dai quali emerge invece che il costo del nucleare è di 3 centesimi di dollaro al kWh, quindi più basso di tutte le altre fonti energetiche (rinnovabili e non rinnovabili).
Come è evidente gli studi danno dati discordanti, ma partono da presupposti e ipotesi differenti (quindi difficilmente comparabili).Un’analisi precisa dei costi dovrebbe considerare molte variabili, tra cui il fattore temporale (non bisognerebbe considerare solo il presente ma anche i miglioramenti delle tecnologie future), oppure gli eventuali costi necessari per contenere entro limiti accettabili l’impatto ambientale di una fonte energetica. Di certo si può affermare che l’uranio incide in maniera limitata sul costo finale dell’energia nucleare (solo il 6%). Questo significa che, anche un raddoppio del prezzo del combustibile non inciderebbe in modo significativo sul prezzo dell’energia prodotta.
Questa situazione è decisamente differente da quella del petrolio, il cui prezzo è in costante ed esorbitante crescita.
Fatto questo sicuramente molto penalizzante per il nostro Paese, poiché l’Italia dipende all’85% dalle importazioni
dall’estero, e in media il prezzo dell’energia elettrica è ben più elevato rispetto alla media europea, proprio a causa di un eccessivo sbilanciamento verso i combustibili più costosi in assoluto e passibili di pericolosi rialzi (petrolio e gas
naturale).
Si sente spesso la frase che “per svilupparsi il nucleare ha bisogno di aiuti e sovvenzioni”. Vero. Ma attenzione, dobbiamo sottolineare che anche le opere eoliche e solari sono attualmente soggette a sovvenzioni dello stato. Possiamo dire quindi che al momento  non esistono conti economici positivi, né per il nucleare, né per il solare, né per l’eolico, a meno di contributi statali.
Il nucleare non inquina?
Per avere una valutazione reale delle emissioni di CO2 di una centrale nucleare bisogna considerarne l’intero ciclo di vita, in quanto ogni fase di lavorazione richiede un diverso apporto di energia (ad esempio l’energia necessaria per estrarre l’uranio o quella per arricchirlo, oppure quella per gestire le scorie). Inoltre molto dipende dal luogo in cui viene svolta, e se per produrre questa energia si utilizzano fonti fossili, allora ci sarà inevitabilmente una emissione di CO2 che deve essere messa in conto all’impianto nucleare.
Certo è che, quando si parla di “pulizia” del nucleare bisogna tenere in considerazione non solo l’emissione di CO2, ma anche le scorie radioattive derivanti dal processo di creazione di energia.
Che si tratti di centrali di II o III generazione, il nucleare produce scorie radioattive. Il combustibile esausto, che viene estratto dal reattore, contiene isotopi radioattivi tra cui i prodotti di fissione. I tempi di decadimento necessari per rendere non pericolosa la radioattività che caratterizza i radioisotopi generati all’interno del reattore, è molto variabile e può essere di pochi anni, ma anche di centinaia di migliaia di anni come nel caso di un isotopo del plutonio.
Per il loro stoccaggio è necessario ricorrere a barriere naturali, come le formazioni geologiche in profondità.
La quantità di scorie potrebbe però ridursi notevolmente, sia tramite riprocessamento del combustibile nucleare, sia con i reattori di IV generazione.
Cos’è il riprocessamento o ritrattamento delle scorie radioattive?
Il combustibile che viene scaricato dal reattore contiene ancora una grande quantità di elementi che possono essere
sfruttati sia direttamente che indirettamente per la reazione nucleare di fissione. Occorre dunque separare questi elementi riutilizzabili dai prodotti di fissione che vengono invece stoccati. Così facendo è possibile ottenere diversi vantaggi: si ottiene un utilizzo migliore del combustibile, si riducono i volumi di scorie da stoccare e si riducono anche i tempi di decadimento dei rifiuti radioattivi, in quanto i tempi di decadimento più elevati sono proprio associati a quegli elementi transuranici che possono essere riutilizzati.  Il riprocessamento del combustibile diventa di primaria importanza nel produrre energia tramite i nuovi tipi di reattori (IV generazione).
Concludendo: il nucleare viene chiamata energia pulita ma non può essere definita tale. Oggi, momento storico in cui il nostro problema consiste nel global warming e quindi nell’eccessiva emissione di CO2, il nucleare può essere la scelta giusta dal punto di vista delle emissioni di CO2, ma non è che ci stiamo accollando un inquinamento diverso? Non stiamo solo trasferendo il problema da un inquinamento all’altro?
Quanto dureranno le scorte di uranio?
L’uranio è un minerale molto diffuso sulla Terra, è presente nelle rocce in una percentuale di qualche grammo per
tonnellata e si trova persino nell’acqua del mare, anche se con una concentrazione molto più bassa e con costi estremamente alti,stimata intorno ai 300 $/kgU.
Attualmente si sfruttano miniere in cui è presente con una concentrazione superiore al 2% e i maggiori paesi produttori sono Australia, Kazakistan e Canada, che da soli possiedono oltre il 50% delle riserve mondiale accertate.
Il consumo annuale di uranio da parte dei reattori nucleari attualmente in funzione è di poco più di 68.000 tonnellate all’anno e quindi, a questo ritmo di consumi, le riserve accertate basteranno per circa 85 anni.
Nel momento in cui verrà utilizzato il riprocessamento in modo più diffuso e soprattutto nel momento in cui si arriverà ai reattori di IV generazione, che producono più combustibile di quello che bruciano (autofertilizzanti), la disponibilità di uranio con gli stock annunciati passerà a 2.500 anni.
Il problema della IV generazione è che ci vorranno più di 20-30 anni prima di averla a disposizione, e il fatto che una tecnologia sia disponibile non vuol dire che il mercato sia pronta ad accettarla: l’industria ha fatto investimenti notevoli per sviluppare la III generazione, che avrà una durata prevista di 60 anni. Anche se la IV generazione fosse
pronta alla vendita nel 2030 chi la comprerebbe? Prima bisognerebbe ammortizzare i costi della III.

Nessun commento:

Posta un commento