venerdì 28 maggio 2010

La Stevia: il dolcificante naturale per eccellenza, ma per l' Europa è ancora così amara

E' possibile sfornare torte che possano essere mangiate anche dai diabetici e dagli obesi? E' possibile far andare d'accordo il dolce con la dieta sana? E' possibile, insomma, trovare un dolcificante naturale che possa sostituire lo zucchero?
Di sostitutivi dello zucchero ce ne sono e vengono usati dall'industria alimentare per creare i cosiddetti "prodotti light". L'aspartame è uno di questi, ma poi si scopre che è collegato con l'insorgenza di tumori al cervello, oltre che ha una comprovata neurotossicità ed è la causa di "92 sintomi" allarmanti, come cecità, problemi neurologici (parkinson, alzhaimer) e vascolari, paralisi, come confermato anche dalla FDA (Food and Drug Administration). (clicca sul titolo per continuare)

sabato 22 maggio 2010

Il ritiro uno contro uno dei RAEE

Ora che il digitale terrestre sta imponendosi su tutto il territorio nazionale e chi vorrà vedere la TV sarà costretto a comprarne una nuova, che fine faranno tutte le vecchie e ormai obsolete televisioni? Verranno buttate! Ma come? E adesso che ci penso, che fine fanno in genere gli elettrodomestici che vogliamo dismettere?

Nel 2008 è entrato in vigore il decreto legge 151/2005 che ha recepito, con molta calma, una direttiva europea risalente al 2003. In base a questo decreto I consumatori, che prima di allora erano obbligati a portare i propri RAEE (Rifiuti di apparecchi elettrici ed elettronici) presso le eco-piazzole comunali, possono lasciare il rifiuto ai distributori, nel caso di nuovo acquisto, con un costo aggiuntivo che varia prevalentemente in base al peso, costo che i produttori scelgono se inglobare nel prezzo finale o renderlo separato.

Grazie a questo sistema nel 2009, sono state raccolti oltre 193mila tonnellate di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. In media, si raccolgono 3,21 chili per abitante, anche se è ancora forte il divario territoriale, che penalizza, come sempre, il Sud: in Trentino-Alto Adige, per esempio, si totalizza 6,43 kg per abitante di rifiuti raccolti, contro l'1,93 kg della Campania, l'1,88 kg della Calabria, e addirittura, lo 0,82 kg della Sicilia.

Dal 18 giugno, invece, quando compreremo un computer, frigo, lavatrice o un ferro da stiro possiamo pretendere dal rivenditore il ritiro gratuito dell'usato da buttare. In tale data, infatti, entrerà in vigore il Decreto Ministeriale 08 marzo 2010 n° 65 recante “modalità semplificate di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) da parte dei distributori e degli installatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), nonché dei gestori dei centri di assistenza tecnica di tali apparecchiature”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 04 maggio 2010.
L'obbligo di ritiro Raee è valido anche per gli acquisti online o per corrispondenza.
 Esempi di RAEE:
 •  Grandi elettrodomestici
 •  Piccoli elettrodomestici
 •  Apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni
 •  Apparecchiature di consumo
 •  Apparecchiature di illuminazione
 •  Strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi dimensioni)
 •  Giocattoli e apparecchiature per lo sport e per il tempo libero
 •  Dispositivi medici (ad eccezione di tutti i prodotti impiantati ed infetti)
 •  Strumenti di monitoraggio e controllo
 •  Distributori automatici

I RAEE possono contenere sostanze quali metalli pesanti, ritardanti di fiamma bromurati, sostanze alogenate, sostanze lesive per l’ozono. Molte di queste sostanze rappresentano un potenziale pericolo per l’ambiente se non vengono trattate o smaltite in modo adeguato.

Con la nuova normativa i distributori sono tenuti ad informare i consumatori sulla gratuità del ritiro in modo chiaro e di immediata percezione, avvalendosi anche di avvisi ben leggibili situati nei punti vendita. I distributori hanno inoltre l'obbligo di tenere uno apposito registro numerato progressivamente che deve essere conservato per tre anni dalla data dell'ultima registrazione. Questo al fine di lasciare traccia del percorso del Raee dismesso e ostacolare lo smaltimento illecito di rifiuti elettrici ed elettronici. 
Una volta riconsegnato al negozio, il rivenditore è autorizzato a raggruppare presso la propria struttura i Raee ritirati e sarà a suo carico il successivo trasporto all'isola ecologica di riferimento per il successivo riciclo. I rivenditori che non ottempereranno all'obbligo di ritiro e smaltimento di prodotti Raee sono passibili di una sanzione che varia da 150 a 400 euro per ciascun articolo non ritirato.

Non resta che attendere, dunque, per capire come verrà recepito il regolamento e come concretamente saranno rispettati gli obblighi previsti.

mercoledì 19 maggio 2010

Una giornata a "impatto zero"

Qualche giorno fa ho visto in televisione una puntata di Citizen Report, un programma di Rai Educational che va in onda su Rai 3 all'1.10 a.m.
A questo punto voglio subito aprire e chiudere una parentesi: perché i programmi di Rai Educational che sono forse gli unici che meriterebbero l'attenzione di menti sviluppate come quelle dei bambini, menti capaci ancora di apprendere e comprendere, al contrario di quelle dei grandi ormai definitivamente inebetite da anni di spazzatura mediatica, vanno in onda la notte quando tutti, o quasi tutti, dormono? Una volta erano i film porno che andavano in onda la notte, adesso è il contrario. Se vuoi vedere un paio di tette basta guardare la prima serata di qualsiasi canale, avvolte anche a ora di pranzo o nel pomeriggio, mentre i programmi educativi sono stati relegati nelle fasce orarie notturne forse proprio per evitare che bambini possano guardarli. Per questa società è meglio avere un bambino che si tocca in bagno piuttosto che un bambino che impari ad usare il cervello e che un giorno potrebbe utilizzarlo contro "il sistema".

Chiusa la parentesi polemica e tornando a Citizen Report, in quella puntata di cui vi parlavo prima si mostrava un video di uno dei tanti inviati amatoriali iscritti al programma avente ad oggetto lo svolgimento di una giornata ad impatto zero. Nel video infatti si mostrava come era possibile vivere una giornata evitando di sprecare energie e di danneggiare inconsapevolmente l'ambiente. Già perché noi non ce ne rendiamo conto, ma da quando ci svegliamo la mattina fino a quando andiamo a dormire la sera o la notte, ogni nostra azione ha un impatto più o meno lesivo sull'ambiente: lo spreco di acqua per lavarsi, l'uso dell'auto, le luci che lasciamo accese, ecc.. 
In quel video invece l'autore dimostrava che era possibile con qualche piccolo sacrificio concludere una giornata qualunque con la coscienza ecologica pulita. Prendere la bici anziché l'auto, comprare frutta e verdura 'a Km zero', spegnere gli elettrodomestici in stand by e così via.

Che bella idea! La gente al giorno d'oggi filma di tutto, bambini che vengono pestati, ragazze violentate, le azioni più insignificanti e stupide solo per dire "Italia 1", ma nessuno ha mai pensato di utilizzare una telecamera per far vedere, seppur sommariamente, come bisognerebbe vivere una giornata. 

Allora mi sono chiesto: "sarebbe bello che tutte le giornate fossero a impatto zero, ma perché non decidere di farla almeno una volta al mese o, meglio ancora, alla settimana?" Si prende un giorno qualsiasi del calendario e in quel giorno si decide ad esempio di andare la lavoro in bici o con i mezzi pubblici, di non accendere la televisione, di mangiare a lume di candela, ecc., i suggerimenti si possono cogliere dallo stesso video, ma basta usare un po' la testa. Chissà quanto risparmieremmo noi e quanto ne guadagnerebbe l'ambiente se tutti almeno una volta a settimana avessimo una nostra giornata a impatto zero! Voi che dite?
Le mie più sincere congratulazioni all'autore di questo video.

venerdì 14 maggio 2010

Libri che fanno male

In questi giorni è in corso il Salone Internazionale del libro di Torino e anche se in tema di libri in Italia non siamo grandi consumatori (e si vede), voglio approfittare dell'occasione per dare qualche dritta che possa rendere il nostro consumo sempre più etico, critico e sostenibile.
Sapete che i libri che comprate potrebbero contenere tracce di foresta pluviale? No? Adesso si!  E lo sappiamo grazie al WWF, Greenpeace e Terra che da anni denunciano le responsabilità del settore dell’editoria italiana sulla distruzione delle ultime foreste torbiere del Sud Est Asiatico.
L’espansione delle piantagioni industriali per la produzione di polpa di cellulosa, infatti, minaccia le preziose foreste del Sud Est Asiatico e, in particolare, quelle di Sumatra e spinge verso l’estinzione specie come l’orango, l’elefante, la tigre e il rinoceronte di Sumatra.

Tra i principali responsabili di questo scempio ambientale la multinazionale APP (Asia Pulp & Paper). Si stima che dall'inizio delle proprie attività, negli anni '80, la APP abbia abbattuto un milione di ettari di foreste naturali nella sola isola di Sumatra. Quest’area da sola conserva più di due miliardi di tonnellate di carbonio svolgendo un’azione chiave nella mitigazione del cambiamento climatico. Di questo campione della deforestazione l'Italia è uno dei maggiori clienti.

Greenpeace ha lanciato la nuova classifica “Salvaforeste” sull’editoria italiana. A tutte le case editrici è stato rivolto un questionario “Salvaforeste” dove la maggior parte degli editori ha risposto dimostrando trasparenza, ma ha dichiarato di non poter fornire informazioni chiare sulla propria carta e quindi non ha una politica sostenibile. In questo gruppo si trovano i principali gruppi editoriali italiani, Mondadori, RCS Libri, Gruppo Giunti e Gruppo Mauri Spagnol.

Soltanto il 18 % delle case editrici interpellate ha scelto di acquistare solo ed esclusivamente carta sostenibile. Tra questi: Bompiani, Fandango, Hacca e Gaffi.

Il 20% è quello dei più “cattivi”: non hanno fornito nessuna informazione utile per poter valutare la sostenibilità della propria carta, dimostrando poca trasparenza e nessuna volontà di escludere dalla propria filiera carta proveniente dalla deforestazione. Tra questi Feltrinelli che da solo controlla quasi il 4% del mercato librario.

Per salvare foreste e oranghi, gli editori devono impegnarsi a garantire a noi lettori che i libri non siano prodotti di distruzione. È più facile di quanto si possa pensare!

giovedì 13 maggio 2010

Quei rompiscatole di Greenpeace

Cari amici e pazienti lettori,
oggi voglio pubblicare una sintesi dei riusultati di una indagine condotta da Greenpeace sulla "sostenibilità delle scatolette di tonno". Sembra una esagerazione, ma in realta la questione è seria e va affrontata nel modo giusto.

"Le campagne pubblicitarie cercano di far apparire la pesca al tonno come una pittoresca industria artigianale, ma in realtà le flotte che pescano il tonno sono tra le più industrializzate al mondo, e sono responsabili di gravi impatti sugli oceani. Questo tipo di pesca minaccia da un alto le risorse da cui dipende, sovrasfruttando gli stock di tonno e catturandone esemplari giovanili, e dall’altro l’intero ecosistema marino. Il tonno è solitamente pescato con metodi che causano ogni anno la morte di migliaia di squali e tartarughe marine, tra cui specie minacciate d’estinzione. A soffrirne purtroppo non è solo l’ambiente ma anche le popolazioni costiere i cui mari in cambio solo di una piccola parte dei guadagni, vengono depredati da flotte straniere e dal fenomeno sempre più diffuso della pesca illegale" (Fonte Greenpeace "Rapporto tonno in scatola").

A tre mesi dal lancio della classifica “Rompiscatole” di Greenpeace sulla sostenibilità delle scatolette italiane, le aziende hanno cominciato a muoversi nella direzione giusta, iniziando a porre maggior attenzione alla provenienza del tonno utilizzato nelle loro scatolette.

Secondo i risultati di questa classifica il primo posto in classifica spetta a AsdoMar, uno dei pochi che utilizza in parte dei propri prodotti il tonnetto striato, pescato con metodi sostenibili (lenza e amo). Il tonnetto striato - a differenza del pinna gialla ormai sovrasfruttato – è considerata in buono stato.

Tra le scelte più importanti c’è la decisone di Esselunga di non comprare tonno trasbordato in mare, una pratica che favorisce molto spesso attività illegali. Callipo, invece, è il primo a decidere di utilizzare nella propria produzione non più del 25 per cento di tonno pescato con sistemi di aggregazione per pesci (o FAD). I FAD, infatti, causano la cattura accidentale di tartarughe, squali ed esemplari immaturi di tonno.

Passi avanti anche tra i più grandi! Bolton che, con il marchio Riomare copre più del 30% del mercato, si è impegnato formalmente a predisporre prima della fine dell’anno una politica di sostenibilità. In fondo alla classifica Nostromo e tonno Mare Aperto di STAR.

La strada per avere sul mercato un prodotto totalmente sostenibile è ancora lunga: dei quattordici marchi in classifica ben dieci continuano a rimanere “in rosso”, e nessuno raggiunge la fascia “verde”. Adottare dei principi scritti è un passo fondamentale ma non basta: le aziende devono passare dalle parole ai fatti!

Visita il sito "Tonno in trappola" e scarica la nuova classifica "Rompiscatole"

lunedì 10 maggio 2010

Cercasi Acqua pulita per lavare privatizzazioni sporche

Cercare di fare chiarezza e allo stesso tempo essere sintetici su un tema così delicato è molto difficile e spero di raggiungere comunque l'intento.
In Italia tutto e cominciato nel 1994 con la legge n. 36/94, detta legge "Galli" dal nome del suo promotore, che con l'obiettivo di ridurre l’eccessiva frammentazione dei soggetti gestori che, tra acquedotto, fognature e depurazione, erano 7826 all’inizio degli anni novanta, ha diviso il territorio italiano in novantuno Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) (formati dai Comuni dei territori interessati), i quali gestiscono l’acqua nei propri territori e hanno un proprio organo decisionale di nomina politica. Sempre secondo la legge ogni ATO può affidare la gestione del proprio servizio idrico integrato ad un’unica società, con tre possibili alternative di gestione: azienda a capitale totalmente pubblico (opzione “in house”); società a capitale misto pubblico-privato; società a totale capitale privato. (clicca sul titolo per continuare)

martedì 4 maggio 2010

I cari detersivi biologici

I detersivi sono sempre stati una delle principali fonti di inquinamento sia per la natura, sia per noi stessi. Le sostanza tossiche contenute al loro interno, infatti, contribuiscono a distruggere gli ecosistemi acquatici e provocano danni non solo alla nostra pelle, ma anche a tutto il corpo che involontariamente e quotidianamente ne assorbe una piccola ma costante quantità. Pensiamo ad esempio alle posate o alla verdura lavata in pentole pulite con detergenti tradizionali, per quanto possiamo sciacquarle non riusciremo mai a eliminare definitivamente le sostanze tossiche contenute nei detergenti. Uno dei tanti nodi da sciogliere per risolvere il problema dell'inquinamento è, quindi, quello di cercare di utilizzare detersivi che non contengono sostanze tossiche: detersivi biologici.

L'obiezione che maggiormente e artificiosamente viene fatta contro l'utilizzo dei detersivi biologici riguarda la loro scarsa economicità, cari al pianeta e al portafoglio. In genere questo tipo di obiezione viene sollevata per tutti i prodotti biologici e che fanno bene al nostro pianeta. Pertanto la mia risposta non potrà essere diversa da quella che darei per tutto il mondo biologico.

SI! E' vero, i detersivi ecologici costano di più di quelli convenzionali.

"Ah! Ma allora è inutile che perdiamo tempo - direte voi - con questa crisi non arriviamo a fine mese per mangiare, figuriamoci se possiamo permetterci di spendere qualcosa in più per lavare due piatti".

Non fa una piega e vi posso assicurare che vi capisco benissimo. Quando a fine mese riceviamo il nostro sospirato stipendio e da questo ci togliamo le spese per il cibo, acqua, luce e gas, telefono e telefonino, l'auto senza la quale non riusciamo a muoverci, il parente che si sposa, il figlio che ha rotto l'ennesimo paio di scarpe, alla fine rimane poco o niente.

La questione però è un'altra. Nessuno, compreso il sottoscritto, dice che bisogna preferire l'acquisto del detersivo ecologico a quello dell'omogeneizzato per il bambino. La questione è quella di cominciare ad entrare nell'ordine di idee di dover dedicare una piccola parte delle nostre entrate per investire sulla salute dell'ambiente. Investire non spendere, perché acquistare un detersivo ecologico non è una spesa!

La spesa è quella che saremo costretti a sostenere per sopportare le conseguenze di non aver investito oggi. Allo stesso modo oggi stiamo pagando per i mancati investimenti nell'ambiente della generazione precedente. Volendo fare un esempio che può sembrare banale ma che vuole essere solo una semplificazione, con l'uso smodato di detergenti abbiamo distrutto o inquinato molte specie di pesci che oggi siamo costretti a pagare il doppio per la diminuzione dell'offerta, per non parlare delle sostanze nocive che contengono per aver nuotato in acque inquinate; facciamo giocare i nostri bambini su pavimenti puliti con sostanze tossiche che vengono a contatto con la pelle favorendo la formazione di allergie e altre patologie che saremo poi costretti a curare acquistando medicinali sempre più costosi. Oggi spendiamo molto di più di ieri per cibo e medicine solo perché ieri non abbiamo voluto investire.

Eccoli! Sento già gli epiteti di quanti in questo momento mi stanno dando del catastrofista. Chissà perché ogni volta che qualcuno mette in guardia sulle conseguenze di una cattiva azione gli si dà sempre del catastrofista. Voglio dare un consiglio a qualche eventuale bambino che sta leggendo questo post: se state giocando a fare l'equilibrista sul muro di cinta del soffitto di casa vostra e i vostri genitori vi dicono che potreste cadere giù, voi dite che sono dei catastrofisti, così forse per non sentirsi tali ve lo lasceranno fare. Scherzo, ovviamente, bambini scendete da quel muro. Ma tutto questo per dire che se non ci mettiamo in testa una buona volta di destinare oggi una piccola parte del nostro reddito per l'acquisto di detersivi ecologici, domani non ci pagheranno abbastanza per sostenere il costo di questo rifiuto.

Non mi rivolgo a chi effettivamente vive in condizioni di indigenza perché ha perso il posto di lavoro o non ne ha mai avuto, ma a coloro che riescono grazie alle loro entrate ad avere quel poco in più da dedicare alle spese non indispensabili, ammesso che tutelare la nostra salute possa considerarsi una spesa non indispensabile. Se state leggendo questo post, vuol dire che avete un computer e una linea telefonica con la connessione ad internet. Se potete permettervi di avere ciò vi assicuro che potete permettervi di acquistare anche un detersivo ecologico ogni tanto.

Per oggi penso che possiamo fermarci qui, ma in futuro continuerò a parlare di detersivi biologici, cercando di dare qualche consiglio sul loro uso e sul loro acquisto e dimostrando così che sono a portata delle nostre tasche, molto di più di quelli convenzionali.